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“Eravamo occupati a menare gente”, ultras scoprono dopo 5 anni che la loro squadra è fallita

Foto Credits: Lillith/Pixabay

Poggio Punesso (Rm) – “Una svista può capitare a tutti”, spiega Luca Jo Dice, capo ultrà dei ‘Temibili Orsacchiotti’, il gruppo di tifo organizzato che seguiva tutti i match dell’Atletico Lotito Vattene, squadra che militava nella terza categoria, girone B, sottoscala C, citofono Casalotti-Boccea della circoscrizione Roma X2-che non mi fido.

Jo Dice, rapper, produttore, dj, bagarino, conoscitore di tutti i tipi di rutti più in voga da Trieste in giù, amante delle scarpe sinistre numero 43 anche se indossa il 35, e collezionista di elenchi telefonici, ha così parlato dell’evento che ha scosso tutta l’amichevole cittadina di Poggio Punesso.

Vedete…a me piace il calcio e mi piace andare allo stadio. Mi diverto ad incontrare i ‘frà, ci mettiamo lì e decidiamo le coreografie, gli striscioni, come vestirci, a chi menare personalmente, a chi per interposta persona e a chi con posta prioritaria. Come tutti abbiamo i nostri riti quando entriamo allo stadio. Primo: ognuno ha il posto suo, e solo quello deve avere. Secondo: tutti senza maglia che tanto fa caldo anche in inverno con -7 gradi, al massimo ci scaldiamo facendoci le coccole. Terzo: nessuno deve guardare il campo, i ragazzi devono capire cosa sta accadendo guardando esclusivamente la mia faccia rivolta verso di loro. È tipo come quando giochi a Taboo. Quarto: botte botte botte botte, come diceva un famoso pezzo dei Latte i Suoi Derivati, non so se lo ricorda”, spiega Jo Dice.

Ma tutto ciò non spiega il punto focale della vicenda, cioè come sia stato mai possibile che il gruppo ultrà capitanato dall’Illustrissimo Jo Dice, non si sia mai reso conto che il proprio club del cuore, quello per cui molti del gruppo si sono fatti un tatuaggio (sia normale, che colorato che ad uncinetto), sia stato dichiarato fallito da ben cinque anni mentre tutti loro, fan più accaniti, continuavano regolarmente ad andare allo stadio ogni settimana, persino durante la sosta per la pandemia.

Vede, signor giornalista”, interviene il vice capo ultrà Andrea ‘The Marine’, nome conquistato sul campo visto che una volta è andato all’isola d’Elba col traghetto, “la dimenticanza, se così la possiamo chiamare, è avvenuta per un semplice motivo che le sto qui a spiegare. Noi tifosi abbiamo un compito che è quello di incitare i nostri giocatori se vincono, o solo la maglia, se per caso perdono e vogliono andarsene via. Quando loro giocano noi siamo attorno per creare un tifo che sia sano, sportivo, sempre pronto a invogliare i nostri beniamini piuttosto che a denigrare l’avversario. Prediligiamo il gioco raffinato a quello maschio. E ci piace quando i nostri ci provano a fare bene nonostante non si raggiunga il risultato. Ora, purtroppo, tutto ciò come per magia lo dimentichiamo quando ci avviciniamo allo stadio. Da lì in poi ragioniamo a grugniti e abbiamo difficoltà a emettere verbi regolari. E poi ci meniamo senza motivo con altra gente che tifa una squadra diversa. Ancora oggi. Nel 2022. Vede – continua ‘The Marine’ – io ho due lauree e sto per prendere la terza, non so nemmeno perché, ma sono una persona di intelletto raffinato. Il problema è che ‘sto gioco e il senso di gruppo mi spinge a comportarmi così, per questo abbiamo continuato a ‘tifare’ per una squadra che non esisteva più. È un circolo vizioso”.

Il motivo di questo fraintendimento piuttosto grave ci viene dato dalla scienza. Il celebre psicologo-psichiatra-psicanalista-segretario del PSI Lele Cimmiraf ha la risposta a questa domanda che in effetti non gli abbiamo mai posto: “La mia ipotesi – ci spiega il Dottor Cimmiraf – è che tutta ‘sta gente sia stata menata fortemente, durante la propria infanzia, con un peluche a grandezza naturale di ‘Ciao’, la mascotte di Italia ’90. Questo uomo stilizzato a forma di stivale con la testa a pallone, anche nel caso non sia stato il responsabile di percosse, ha donato a una generazione di quarantenni la passione verso il giuoco del calcio ma anche la paura che tutta la propria esistenza si debba basare sul risultato più o meno positivo della propria squadra del cuore o, negli ultimi anni, anche in quella della propria squadra al fantacalcio. Quando si sa che il vero motivo della vita, scritto anche su tutti i libri di psicologia, è la fregna”, ci esplica il Dottor Cimmiraf mentre nel suo studio risuonano le mirabili note sonore di Scat Man.

Insomma un fraintendimento, che però non ha portato troppa tristezza in Jo Dice e in Andrea ‘The Marine’ come ci spiega lo stesso Luca: “Continuiamo a onorare i ragazzi anche da quando abbiamo scoperto che la squadra è fallita perché per colpa nostra pagavano troppe multe al giudice sportivo. In loro onore scenderemo regolarmente in campo, in piazza, ogni settimana per poter dire ad altre persone sconosciute, un attimo prima di menarle, un motto che i gruppi ultrà si tramandano da secoli: ‘T’sfong!’”.

Parole dure, ma pregne di un significato che oseremmo definire romantico.

Davide Paolino