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Trovato diario di Montanelli in cui si rammarica per la sposa bambina: “Potevo prenderne un paio”

Foto Credits:FondazioneMontanelli

Milano (Non si ferma e di solito non pulisce il water) – “Ma chi siete voi per parlare male di Montanelli? Un grande del giornalismo. Forse solo inferiore a me!” – È un arrabbiatissimo Enrico Mentana quello che si accinge a entrare in una celebrata casa d’aste milanese dove di lì a poco verrà aggiudicato un inedito diario del tanto discusso giornalista di Fucecchio, ora di nuovo al centro di feroci polemiche legate all’opportunità o meno di rimuovere la statua a lui dedicata – “Montanelli è sempre stato un personaggio scomodo. A sinistra lo detestavano perché era di destra. A destra lo odiavano quando mollò Berlusconi e si spostò a sinistra”. Appena pronunciata quest’ultima dichiarazione, due tizî vestiti di bianco hanno fatto indossare al direttore di La 7 una camicia allacciata dietro e l’hanno portato via a sirene spiegate.

Trascorrono giusto pochi minuti e compare un trafelato Marco Travaglio, smanioso di aggiudicarsi il prezioso memoriale: “Montanelli non era razzista, avrebbe potuto scegliere una bambina di qualsiasi colore, bianca, gialla, blu e, invece, di quale l’ha presa? Inoltre, è ora di dire basta anche al fatto che millantasse incontri con personaggi famosi che non sarebbero mai avvenuti e che in realtà sono documentatissimi, tipo quelli con Hitler, Francisco Franco e Nembo Kid.

Anche Beppe Severgnini non esita a prendere le difese dell’illustre collega scomparso nel 2001: “Montanelli è un pilastro sia per il giornale per cui scrivo sia per la città in cui vivo, Milano, the city that never sleeps. C’è un proverbio meneghino che recita A Milan, anca i moron fann l’uga, a Milano anche i gelsi fanno l’uva, che non ho mai capito cosa voglia dire ma che io trovo molto bello e che è molto diverso da Quando Ascoli era Ascoli, Roma era pascoli, ed è la straordinarietà di questo paese così controverso ma anche così pieno di inventiva e che da sempre si esalta nelle difficoltà. Come dicono i miei amici d’oltre Atlantico, After dinner rest a while after supper walk a mile, cioè, dopo pranzo riposati un po’ dopo cena passeggia per un miglio, per cui io rivolgo ai contestatori il mio invito a percorrere la via intitolata a quel grande patriota di Daniele Manin e a raggiungere la statua dedicata a un grande uomo e a un grande giornalista che se anche ha comprato una bambina non è mai stato sorpreso a fumare lungo la Quinta Strada di New York, perché quello è davvero un gesto imperdonabile”.

Vittorio Feltri è addirittura allibito: “Ma vi rendete conto che se Montanelli fosse ancora vivo non solo avrebbe 111 anni ma verrebbe radiato dall’ordine dei giornalisti per razzismo. Pazzesco. Certo non pazzesco quanto il fatto che uno come me dopo tutte le cazzate che spara diriga ancora un giornale. E comunque anche l’episodio della cosa lì, della dodicenne, va contestualizzato. Sarebbe come se io oggi dicessi a una che cammina per strada che è un gran troione e questa si offendesse pure. Pazzesco”.

La sfilata dei giornalisti prosegue poi con diversi nomi importanti della stampa italiana (ed emblematici delle cattive condizioni in cui versa), da Andrea Scanzi (“Montanelli per me è una via di mezzo tra Roger Waters e Rosario Dawson, gli dedicherei un festival, ho già anche il nome: Rock in Indrho) a Maurizio Belpietro (“Come posso non difendere un collega che ha subito un attentato quasi grave quanto il mio?”) passando per l’intera redazione del Manifesto: “Siamo curiosi di scoprire se in questo famigerato diario ci siano nuove teorie sulla morte di Pinelli, tipo che stavolta si è buttato addirittura dal sesto piano della questura per non rivelare che gli anarchici stavano progettando attentati sull’Italicus, a piazza della Loggia e alla stazione di Bologna”.

Alla fine l’ambito manoscritto se l’è aggiudicato un entusiasta Stephen Glass, il giornalista caduto in disgrazia per i numerosi scoop inventati di sana pianta per The New Republic: “Indro, what a master!
Glass ci ha gentilmente concesso di riportare uno stralcio di queste pagine sicuramente traboccanti di inedite e rivelatrici verità:

20 aprile 1979, Santiago del Cile.
In una sala appartata del Palacio de la Moneda, mi trovo col presidente Pinochet, Kissinger e Hitler per festeggiare insieme i 90 anni di Adolf. Henry gli ha provocatoriamente regalato un bunker e una Walther Ppk 7.65 ma l’ex führer confessa che il suicidio non rientra più nei suoi programmi da quando ha scoperto che anche Red Canzian dei Pooh è vegetariano. Sentendo citare l’Italia il Caudillo, che ho conquistato confessandogli che è meglio lui di un governo col PCI, mi chiede di raccontare qualche aneddoto delle mie esperienze di guerra nell’esercito del compianto amico di Adolf. Il mio sguardo deve essersi scopertamente rabbuiato perché tutti e tre mi chiedono quale pensiero doloroso mi abbia attraversato la mente. Al che rispondo che uno dei miei più grandi rimpianti è legato al giorno in cui in Etiopia comprai per 350 lire una bambina, un fucile e un cavallo: “Quel giorno c’era un’offerta speciale e per quella cifra avrei potuto averne anche due di dodicenni ma quando ho visto il fucile mi sono sentito arditamente virile e il cavallo puzzava comunque meno della bambina. Con due di quelle dolci infibulate ne avrei però avuta una che si occupava della biancheria e l’altra della cucina”.

Augusto Rasori