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“Capaci tutti, non solo i Måneskin”, Uto Ughi sfascia il suo violino alla fine di un concerto

Spero di morire prima di invecchiare“. Sono queste le parole con cui il grande violinista lombardo Uto Ughi, durante i festeggiamenti per il suo 79º compleanno, il 21 gennaio, ha risposto alle numerose critiche piovutegli addosso da diverse voci, come la direttrice d’orchestra Gianna Fratta (di lei si può dirlo, mica è Beatrice Venezi) o il tuttologo Vittorio Sgarbi, per le sue pacate esternazioni nei confronti dei Måneskin: “Sono un insulto all’arte e alla cultura“.

Ughi non è nuovo a simili sviolinate verso le celebrità della scena popolare. Come dimenticare, infatti, il suo leggero intervento del 2008 contro Giovanni Allevi? “È un nano in confronto a Horowitz, a Rubinstein. Ma anche rispetto a Modugno e a Mina”.  Sino a concludere con un impietoso “E secondo me anche quei suoi riccioli non sono naturali“.
Del resto il celebre violinista è da sempre un punk che ama andare controcorrente, o non si spiegano le sue dichiarazioni su Berlusconi che avrebbe favorito la cultura o su Salvini che è gli è simpatico perché esprime idee forti. È giunto persino a lasciarsi intervistare da La Verità per ribadire “Sono molto d’accordo con voi quando vi occupate di certe derive Lgbt. A chi potrebbe mai piacere il progetto di legge contro l’omofobia? Ma le pare normale che uno non possa nemmeno esprimere le proprie idee?“.

Ovviamente sono stati numerosi gli interventi dei difensori del gruppo rock di Damiano e soci, a partire dall’ormai canonico “Ok, boomer“. Ma anche svariati studiosi della musica hanno voluto affrontare la questione ricordando che ogni nuova generazione musicale ha sempre suscitato le perplessità di quella precedente, come avvenne per il movimento pelvico di Elvis o le boccacce di Mick Jagger, o le vertiginose minigonne allo stinco di Orietta Berti che scandalizzarono i supporter di Nilla Pizzi o, prima ancora, quando, per Frank Liszt, Johannes Brahms era solo un capellone cui piaceva andare sulle rive dell’Elba a farsi le canne con i suoi amici prima di addormentarsi durante i suoi concerti.

Proprio per dimostrare di essere al passo con i tempi, Ughi ha concluso le sue ultime due esibizioni sfracellando ferocemente al suolo, dopo il bis, un violino Guarneri del 1744 e uno Stradivari del 1701 dal valore inestimabile (pare quanto mezzo polpaccio di Mbappé) sull’esempio di quanto fatto dai Måneskin a Las Vegas e, prima di loro, da altri artisti meno importanti come Kurt Cobain o Pete Townshend.

A riportare Ughi coi piedi per terra nel modo più drammarico possibile è quanto avvenuto nei giorni successivi, durante un’intervista per Rolling Stone, quando il giornalista gli ha chiesto se Uto fosse il suo vero nome e lui ha risposto: “No, il mio vero nome è Bruto Diodato Emilio Ughi“. Al che l’intervistatore ha prontamente ribattuto “Ah, Diodato! L’ha scelto in omaggio al cantautore che ha vinto Sanremo 2020?“.

Augusto Rasori