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Reduce del Vietnam spara a orientale che indossa t-shirt “Je Suis Charlie”

Reduce del Vietnam spara a orientale che indossa t-shirt "Je Suis Charlie” - Lercio

Los Angeles – Emergono nuovi elementi sullo sconcertante episodio avvenuto nei giorni scorsi e che avevamo già segnalato.
Protagonista della vicenda, avvenuta in una sala da bowling, Walter Sobchak, corpulento reduce della Guerra del Vietnam incapace di fare i conti con un passato travagliato e mai concluso. Sobchak non è nuovo a intemperanze fuori e dentro l’ambito della sala. In precedenza si era già fatto conoscere per aver estratto un’arma durante una partita di torneo per difendere la non validità di un tiro avversario e per aver demolito l’auto sportiva di un ignaro cittadino mentre credeva, invece, di minacciare un ragazzo delle scuole medie che accusava di aver rubato un milione di dollari e di averne già spesa una parte. Sobchak è quindi noto per il carattere aggressivo e polemico e per i suoi aneddoti sulla guerra del Vietnam, anche se non va dimenticato che esce da un divorzio difficile, dopo un matrimonio per cui aveva persino cambiato religione, lui polacco cattolico, per convertirsi all’ebraismo.

Come tutti i pomeriggi, tranne lo Shabbat, Sobchak si è recato nel suo diner di fiducia per godersi un caffè e scambiare due parole sui cari vecchi giorni del Vietnam, insieme a un inquietante tassista con un taglio da mohicano, un ex deejay cacciato dal fronte e a un ufficiale che raccontava di quando, durante la guerra, aveva custodito per anni nell’ano l’orologio del suo migliore amico prima di consegnarlo a suo figlio. Giunto alla sala da bowling per giocare una semifinale, mentre aspettava il suo amico Jeffrey, conosciuto come “Il Tipo”, Sobchak si è imbattuto al banco del ritiro delle scarpette in un addetto dai tratti decisamente orientali che indossava una t-shirt con scritto “Je Suis Charlie”. Dopo aver chiesto al dipendente il significato della frase stampigliata Sobchak ha estratto la sua pistola è fatto fuoco sul povero malcapitato. Interrogato dalla direzione sui motivi del suo gesto, l’uomo ha protestato sonoramente: “Non è per questo che ho combattuto con la faccia nel fango di Da Nang o raccolto le membra dei miei compagni dalle rive del Mekong! Non ho visto morire i miei commilitoni perché un giorno l’erede di un Viet Cong potesse sbattermi in faccia che per la sua famiglia quella guerra non l’abbiamo vinta e che è ancora pronta a combattere contro i sacri valori americani!”

Al momento le autorità non hanno ancora deciso quale potrà essere la pena da infliggere a Sobchak ma sembra che il giudice intenda essere particolarmente severo e impedirgli di giocare la prossima partita di torneo contro un ispanico in tutina viola.

Augusto Rasori